Palermo. “Questa è l’occasione per ricordare ancora una volta Mico Geraci, il nostro sindacalista, che ha perso la vita per la legalità. Ma è anche l’occasione per riproporre una serie di temi che riguardano il lavoro, la sicurezza sul lavoro, il lavoro nero e chi evade i contributi. C’è ancora, nel nostro Paese, una illegalità diffusa che deve diventare una questione culturale, uno dei temi sui quali la Uil sfida il governo nazionale ad agire in modo più deciso. Sono ancora pochi gli interventi contro le morti sul lavoro e sulla sicurezza. Ed è scarsa la disponibilità a combattere l’evasione contributiva e il lavoro nero. Ci sono pochi ispettori e ispezioni. E’ l’occasione giusta per ricordare tutto questo”. Lo afferma il segretario generale della Uil nazionale, Pierpaolo Bombardieri, a Palermo per partecipare all’incontro-dibattito su Mico Geraci, a venticinque anni dalla sua morte. Per la commemorazione è stata organizzata una tavola rotonda al Porto di Palermo, moderata dalla giornalista Elvira Terranova, a cui hanno preso parte i vertici nazionali e regionali del sindacato ma anche istituzioni e studenti. E la segretaria della Uil Sicilia, Luisella Lionti ha affermato: “Mico credeva che le cose potessero cambiare. Credeva nella legalità, nel lavoro vero, sicuro e regolare. Ma purtroppo, ancora oggi, constatiamo che nei cantieri si procede con appalti a massimo ribasso, mancano ispettori e ispezioni e le vittime sul lavoro non accennano a diminuire. È necessaria più trasparenza e legalità nel nostro territorio. E ho scelto proprio questa location perché rispecchia la politica del fare. Il presidente Pasqualino Monti ha dimostrato che se si vuole si possono creare grandi cose”. A ricordare le ultime parole di Mico Geraci e’ Carmelo Barbagallo, segretario della Uil Pensionati nazionale. Anni fa, da leader della Uil Sicilia, anche lui denunciò dei mafiosi che lo hanno poi costretto a vivere sotto scorta: “Quindici giorni prima che il nostro Mico fosse ucciso – racconta Barbagallo – venne a trovarmi per dirmi che c’erano molti amici che volevano candidarlo a sindaco di Caccamo. “Ma tu sai che significa?”, gli dissi. Mi rispose: “Sono vent’anni che non sparano più”. E invece hanno di ricominciato proprio con lui. La mafia non si poteva permettere che il più grande mandamento della Sicilia avesse un sindaco ingovernabile”. Fondamentale sino ad oggi il lavoro svolto dalle forze dell’ordine, così come ha sottolineato il responsabile del Dipartimento Difesa e Sicurezza della Uil, Benedetto Attili: “Sono lavoratori e lavoratrici che garantiscono la sicurezza ai cittadini dedicandosi anima e corpo a questo lavoro. Cominciamo a vedere chi veste la divisa in modo diverso, come uomini e donne al servizio della collettività. Questa è la prima grande rivoluzione che dovrebbe esserci a livello culturale in Italia. L’altra è quella di mettere queste persone in condizione di fare il proprio lavoro nel miglior modo possibile”. A chiedere giustizia, ancora una volta, è il figlio di Mico Geraci, Giuseppe: “Sono stati compiuti dei grandi passi in avanti ma non c’è un processo. Occasione come questa servono per reiterare la nostra domanda di giustizia, più che legittima dopo 25 anni”. E il sostituto procuratore della Repubblica, Giovanni Antoci, ha precisato: “Lo stato di salute della mafia è stazionario, abbiamo vinto tante battaglie ma non ancora la guerra. Cosa nostra non è sconfitta”. Antonello Cracolici, presidente della Commissione Antimafia all’Ars, ha concluso così: “A Caccamo Mico Geraci aveva mobilitato le coscienze di un territorio dove al massimo si poteva predicare la lotta alla mafia e non praticarla. L’idea che si potessero coniugare i diritti dei lavoratori a quelli della legalità aveva fatto paura alla mafia che ha deciso di ucciderlo. Oggi dobbiamo riflettere sull’utilizzo che si fa dei lavoratori migranti, invisibili ma presenti, come ha mostrato la vicenda di Daouda Diane, il sindacalista ivoriano scomparso ad Acate, e dove la commissione regionale Antimafia ha scelto di andare”.